La prima qualità del lavoro di Richard Meier è che si tratta di architettura in senso stretto, in un tempo in cui la nozione di architettura è diventata piuttosto confusa.
Un pregiudizio ben radicato vuole che l’America non abbia conosciuto l’avanguardia nel senso europeo del termine e che ne coltivi, retrospettivamente la nostalgia: la prova dovrebbe essere il manifesto che un gruppo di architetti di New York ha reso pubblico per una forma di architettura che appartiene ormai alla storia. Gli stili passano, come le mode: nel caso dello stile “internazionale”, l’opera del tempo va a sommarsi a un processo che si vorrebbe senza appello. Basta che un architetto americano ritenga di avere qualche cosa da conservare, oggi, dal modello messi a punto da Le Corbusier negli anni venti, che si impegni a dargli un senso, ad attualizzarlo, a riattivarlo, la rimetterlo in gioco, nella sua pratica progettuale, con dei fini e in un contesto differente, ecco che rappresenta un assoluto estetico e critico. La prima qualità del lavoro di Richard Meier è che si tratta di architettura in senso stretto, in un tempo in cui la nozione di architettura è diventata piuttosto confusa. Ma questo lavoro ha un altro pregio, non meno importante: quello di ricordarci cosa vuol dire “storia” quando si parla di architettura, e che non è quello che vorrebbero farci credere.