Con questo racconto Alastair Sooke ci regala uno spaccato avvincente della "seconda vita" di Matisse, come egli stesso ha definito i quattordici anni che l'esistenza gli ha regalato del tutto inaspettatamente.
Un mattino di gennaio del 1941, pochi giorni dopo il suo settantunesimo compleanno, Henri Matisse giace in un letto di ospedale e si prepara a morire. La diagnosi – un tumore – non sembra lasciargli scampo. Operato due volte, Matisse sopravvive e, anzi, dà inizio a una nuova, straordinaria stagione artistica, determinata proprio dalla sua malattia. Debilitato, passa molto tempo a letto o sulla a sedia a rotelle, e non è più in grado di dipingere. Si ingegna allora per “disegnare con le forbici”: in grandi fogli di carta colorati a tempera ritaglia delle sagome che poi assembla a collage.
Nasce così la tecnica del papier découpé, con cui Matisse realizza le opere degli ultimi anni: Jazz, pubblicato nel 1947, considerato il più bel libro d’artista del Novecento. Ma anche Ballerina creola, La tristezza del re, la portentosa serie dei Nudi blu. Questo nuovo linguaggio visivo, nelle mani di Matisse diventa una modalità di rappresentazione a se stante: i ritagli di carta saranno il suo mezzo per “scolpire” il colore, il medium che sino alla fine, fino a due giorni prima della morte, avvenuta nel novembre del 1954, ne tradurrà il pensiero creativo. Un pensiero esuberante, sino in fondo, che torna sfidare le ortodossie come già aveva fatto col pennello decenni prima, perché il segreto di Matisse non è rinuncia, ma trasformazione. E delle tante lezioni che il maestro ha impartito ai posteri, questa è la più struggente.