Un ritratto innovativo che pone Perugino sotto una nuova luce rispetto a quanto proposto finora dagli studiosi, un'artista dallo stile elegante e un po' svagato, con pose trasognate in una avvolgente "dolcezza di colore unito".
Seguendo una linea critica che, partendo da Adolfo Venturi si è poi sviluppata attraverso gli studi di Gnoli e Zeri, l’autore del volume cerca di ricostruire, in parziale disaccordo con quegli studiosi, la prima fase dell’opera del Perugino, dalle origini fino al successivo arrivo a Perugia e ai più antichi dipinti umbri. Ripercorre poi la sua attività romana, quella fiorentina, quella perugina, disponendola in parte diversamente da quanto fatto in passato.
Scarpellini intende qui anche sfatare il mito dell’artista immobile, del pittore intellettualmente pigro, che ha continuato a replicare alcune fortunate invenzioni di gioventù, e se propone un’immagine diversa, più varia e contrastata, dove accanto alla produzione di “routine” esistono anche numerosi momenti di alta creatività, non solo nella prima parte della sua carriera, ma fino agli ultimissimi anni.